Con questo lavoro, coraggiosamente prodotto da Domenico
Procacci, il regista Daniele Vicari ci sbatte violentemente in faccia e senza
mezzi termini “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese
Occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”, come definita da Amnesty
International. Ho voluto sottolineare il coraggio degli investitori nel
realizzare questo film, le quali sequenze non sono state fatte girare in
Italia, poiché il loro gesto ha significato un affronto alle case di produzione
mainstream che hanno ovviamente rifiutato il progetto. Con un cast che vede
impegnati i volti, tra i tanti, di Elio Germano, Claudio Santamaria, Alessandro
Roja, Ralph Amoussou, Paolo Calabresi e moltissimi altri, Vicari ci racconta
quanto accaduto nella notte del 21 Luglio 2001, in occasione del G8, alla
scuola Diaz di Genova: l’istituto scolastico diviene in quell’occasione
l’alloggio di tanti manifestanti ed appartenenti al movimento Tute bianche.
Quello che dovrebbe essere un centro di accoglienza è destinato a divenire un
vero e proprio macello, nel senso letterale del termine. La pellicola si
concentra, montando sapientemente immagini riprese dal vero con sequenze
interamente riprodotte sulla base degli atti processuali, sull’irruzione delle
forze dell’ordine nella Diaz. Essendo un patito del genere horror di certo il sangue
sullo schermo non mi disgusta, ma vedendo DIAZ non è stato così. DIAZ è
diverso. Circa 30 minuti di incessante carica sanguinolenta, insulti ed
umiliazioni contro i manifestanti innocui e disarmati equivalgono ad un pugno
nello stomaco dello spettatore. Quello che è stato un semplice pretesto da
parte dei caschi blu per vendicarsi di quanto avvenuto nelle ore precedenti, a
causa dei gruppi facinorosi e violenti, per le strade di Genova viene
meticolosamente denunciato attraverso questa iperviolenta pellicola degna di
poter essere definita un horror vero e proprio. Ma questa volta non si tratta
di un copione sapientemente scritto da qualche maestro del brivido, bensì della
pura e pessima realtà. Le torture nelle carceri alle quali vengono sottoposti i
manifestanti in stato di fermo contribuiscono a lasciare un segno indelebile
nella memoria dello spettatore che, incredulo, assiste al susseguirsi di questi
drammatici fatti. Se quanto riproposto in DIAZ rappresenta chi dovrebbe
simboleggiare la giustizia nel Paese in cui vivo, preferisco non ritenermi
italiano. Vedete DIAZ e non dimenticate!
DON’T CLEAN UP THIS BLOOD!
Nico Parente